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Arbitri, riforma dello sport e qualificazione del rapporto lavorativo

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L’azione legale avviata dall’ex arbitro

Fabrizio Pasqua, ex arbitro di Serie A dalla stagione 12/13 alla stagione 20/21, ha avviato una causa di lavoro contro la FIGC.

Questa vicenda ha riacceso i riflettori sulla qualificazione del rapporto di lavoro degli arbitri, grazie ai quali si rende possibile il regolare svolgimento del campionato, nonché sulle novità introdotte con la riforma dello sport, entrata in vigore a partire dal luglio 2023.

Secondo l’ex direttore di gara, infatti, l’attività da lui svolta negli anni indicati avrebbe dovuto esser qualificata come lavoro subordinato e non già quale lavoro autonomo (Co.co.co).

In generale, a parere dell’indirizzo costante della Cassazione, ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di lavoro autonomo. Perciò, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, deve farsi riferimento al concreto atteggiarsi del rapporto stesso ed alle sue specifiche modalità di svolgimento.

In generale, la subordinazione si sostanzia nell’assoggettamento del prestatore di lavoro all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare, ossia nel potere del datore di lavoro di organizzare la prestazione lavorativa ed il suo inserimento nella realtà produttiva, impartendo – altresì – le necessarie disposizioni per l’esecuzione della stessa (c.d. etero-direzione).

In tal senso, assumono funzione meramente indiziaria elementi del rapporto di lavoro come la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale, il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione.

Perciò, la qualificazione del rapporto di lavoro originariamente operata dalle parti in causa, come contratto di collaborazione coordinata e continuativa non assume rilievo dirimente in presenza di elementi fattuali – quali la previsione di un compenso fisso, di un orario di lavoro stabile e continuativo, il carattere delle mansioni, nonché il collegamento tecnico organizzativo e produttivo tra la prestazione svolta e le esigenze aziendali – che costituiscono indici rivelatori della natura subordinata del rapporto stesso.

In sostanza, ai fini del giudizio sull’esistenza della subordinazione conta il modo in cui si lavora nei fatti e non il contenuto formale degli incarichi o il nomen iuris riservato al contratto.

Ebbene, secondo l’ex arbitro, assumerebbero carattere dirimente l’obbligo di svolgere un numero di allenamenti minimi settimanali, l’impossibilità di rifiuto della prestazione, l’obbligo di partecipazione a raduni e riunioni, l’irrogazione di sanzioni disciplinari in caso di violazioni del regolamento di condotta e l’organizzazione delle trasferte da parte della federazione.

Il precedente giurisprudenziale della Corte di Cassazione

In senso contrario a quanto sostenuto dall’ex arbitro, la giurisprudenza si è già espressa (sebbene non siano state molte le pronunce già intervenute al riguardo). In particolare, la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 12 maggio 2009, n. 10867, ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’arbitro e la Federazione Italiana Giuoco Calcio e ciò per i seguenti motivi in diritto:

– l’art. 1 del Regolamento Associazione Italiana Arbitri prevede espressamente che l’AIA riunisce, nel contesto della FIGC, «gli arbitri italiani che, senza alcun vincolo di subordinazione, prestano la loro attività di ufficiali di gara nelle competizioni della FIGC e degli organismi internazionali cui aderisce la Federazione stessa»;

– si tratta di una previsione che si pone in linea con lo Statuto del C.O.N.I. che all’art. 33, comma 1, prevede che «gli ufficiali di gara partecipano, nella qualifica loro attribuita dalla competente Federazione sportiva nazionale […] e senza vincolo di subordinazione, allo svolgimento delle manifestazioni sportive per assicurarne la regolarità»;

– la “significativa” assenza dei direttori di gara all’interno della elencazione relativa all’ambito applicativo della L. n.91/1981.

Arbitri e riforma dello sport

La figura dei direttori di gara è stata espressamente ricompresa dalla L. n. 86/2019, recante alcune deleghe al Governo in materia di ordinamento sportivo e di professioni sportive cui è stato dato seguito con l’emanazione di cinque decreti legislativi.

Con il comma 1 dell’art. 5, il legislatore ha espressamente delegato al Governo «l’individuazione, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica e fermo restando quanto previsto dal comma 4, nell’ambito della specificità di cui alla lettera b) del presente comma, della figura del lavoratore sportivo, ivi compresa la figura del direttore di gara, senza alcuna distinzione di genere, indipendentemente dalla natura dilettantistica o professionistica dell’attività sportiva svolta, e definizione della relativa disciplina in materia assicurativa, previdenziale e fiscale e delle regole di gestione del relativo fondo di previdenza».

Il D. Lgs. n. 36 del 28 febbraio 2021 ha dato attuazione al summenzionato art. 5 della legge delega occupandosi di riordinare e riformare la disciplina degli enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché quella del rapporto di lavoro sportivo. Una parte rilevante di tale decreto, infatti, viene dedicata all’inquadramento del rapporto di lavoro delle persone fisiche, individuate in specifiche categorie e cioè: atleti, tecnici, dirigenti e direttori di gara.

In particolare, la figura dell’arbitro è stata espressamente prevista all’interno di quella del lavoratore sportivo. L’art. 25 comma 1 del D. Lgs. n. 36/2021 definisce, infatti, il lavoratore sportivo “l’atleta, l’allenatore, l’istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l’attività sportiva verso un corrispettivo al di fuori delle prestazioni amatoriali di cui all’art. 29”. Per quanto riguarda la qualificazione del rapporto di lavoro, il successivo comma 2 del medesimo articolo stabilisce espressamente che “ricorrendone i presupposti, l’attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell’ articolo 409 comma 1, n. 3, del codice di procedura civile”.

Sul punto, interessante si rivela essere la disciplina che il legislatore della riforma ha inteso conferire al contratto di lavoro degli atleti sportivi professionisti. L’art. 27 comma 2 del D.lgs. n. 36/2021, infatti, prevede che “il lavoro sportivo prestato dagli atleti come attività principale, ovvero prevalente, e continuativa, si presume oggetto di contratto di lavoro subordinato”. Esso – continua la norma al successivo comma 3 – “costituisce, tuttavia, oggetto di contratto di lavoro autonomo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) lo sportivo non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione o allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno”. Alla luce di quanto appena detto, emerge che l’art. 27 della riforma sportiva, in forza di presunzione di legge e a specifiche condizioni, rende inquadrabile nel lavoro subordinato solo il lavoro sportivo “prestato dagli atleti”. Se, quindi, per gli atleti vige una presunzione di legge, per i direttori di gara la natura subordinata del rapporto di lavoro dovrà prevedersi espressamente o desumersi secondo i criteri normativi applicabili. In assenza di tali circostanze, pertanto, il rapporto di lavoro sportivo degli arbitri rimarrebbe comunque inquadrato nell’alveo del lavoro autonomo.

In ragione dell’inserimento della figura del direttore di gara all’interno di quella del lavoratore sportivo, la disciplina assicurativa, previdenziale e fiscale, oltre che quella dei fondi di previdenza applicabile al lavoratore sportivo, troverà applicazione anche per i direttori di gara.

Per quanto riguarda l’inquadramento tributario, ai sensi del comma 6-bis dell’art. 25 del D.lgs. n. 36/2021, viene precisato che alle prestazioni dei direttori di gara operanti nell’area del professionismo non si applica il nuovo regime con esenzioni tributarie per le prestazioni sportive che, invece, viene beneficiato dagli arbitri delle serie dilettantistiche sulla base di quanto disposto dall’art. 36 comma 6. Tale norma, infatti, prevede che “i compensi di lavoro sportivo nell’area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all’importo complessivo annuo di euro 15.000,00” e che solo il reddito percepito per la parte eccedente detto importo sarà assoggettato a tassazione.

Per quanto attiene il profilo previdenziale, invece, tutti i nuovi lavoratori sportivi “subordinati” (sia professionisti, sia dilettanti) e i soli lavoratori sportivi “autonomi” professionisti sono iscritti al Fondo Pensione dei Lavoratori Sportivi gestito dall’INPS secondo la previsione dell’art. 35 comma 1 del D.Lgs. n. 36/2021. I soli lavoratori sportivi “autonomi” dilettanti, invece, sono iscritti alla Gestione separata Inps, con un contributo previdenziale che si applica sulla parte di compenso eccedente i primi 5.000 euro (art. 35 comma 2).

Conclusioni

La battaglia portata avanti dall’ex-arbitro Pasqua ha reso ancora più attuale questo dibattuto tema. Sia il dettato normativo-regolamentare che i principi espressi dalla Giurisprudenza sembrano abbastanza chiari nell’andare a ribadire la natura autonoma della professione arbitrale. Un’eventuale riqualificazione del rapporto lavorativo tra gli arbitri e la FIGC in lavoro subordinato non sarebbe priva di conseguenze pratiche di rilievo. In questo modo, infatti, gli arbitri godrebbero di diversi benefici economici (es. TFR, regime delle ferie e della malattia), previdenziali, di garanzie generali sulla loro designazione e, quindi, sul loro effettivo impiego nella direzione delle gare.

Ogni scenario è attualmente aperto e non resta che monitorare l’andamento della vicenda.

 

 

 


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